Cartesio e la radice del dubbio

Verità e certezza tra antichi e moderni

di Alberto Trentin

L’uomo soddisfatto, non dubita. L’uomo soddisfatto, non esiste.

Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

Iniziamo da queste parole, poste alla base dell’edificio biblico, per accostare il tema del dubbio e per suggerire che il dubbio si dice in molti modi. Il serpente intacca con la sua domanda capziosa l’autorità, facendo prefigurare la possibilità che le cose non stiano come affermato. La storia dell’uomo, prima ancora della cacciata dall’Eden, prima ancora della vergogna per la nudità, prima dell’incorporazione dell’oggetto proibito, inizia con l’attenzione prestata al dubbio, strisciante come serpe, come serpe ambivalente.

Come noto, è Cartesio a essere passato alla storia (almeno: alla storia della filosofia) come il filosofo del dubbio. Cosa per altro singolare, se è vero che al termine del suo lavorìo di onnicomprensiva messa in discussione delle evidenze sensoriali e delle verità logico-matematiche, Cartesio giunge addirittura a trovare una certezza metafisica. L’apparente paradosso non deve però stupire se appena si considera che dopo aver delineato la sua personale dottrina del metodo, egli si chiedeva quale potesse essere quella certezza prima e autoevidente, posta al di là di ogni necessità fondativa, capace di fungere da prima pietra su cui costruire il solido sistema della conoscenza umana. È a partire da questa volontà euristica che Cartesio applicherà il suo dubbio, che è insieme metodico e iperbolico, cioè radicale, cioè atto a investire ogni cosa di cui c’è coscienza. Questo perché se qualcosa è dubitabile, potrebbe rivelarsi falso e quindi letale per ogni tentativo di erigere un edificio conoscitivo stabile, sussistente. L’obiettivo di Cartesio è arrivare a qualcosa che supera la prova del fuoco del dubbio.

[…] ma poiché desideravo allora dedicarmi solo alla ricerca della verità, pensavo che occorresse che facessi tutto il contrario e che rigettassi, come assolutamente falso, tutto ciò in cui potessi immaginarmi il benché minimo dubbio per di vedere se, ciò fatto, non restasse qualcosa in cui credevo che fosse del tutto indubitabile.

Certo, Cartesio non è il primo che si sia applicato in questa operazione di pensiero critica. A scorrere la storia della filosofia non si può non tenere conto dello scetticismo antico, ad esempio. O della sofistica. Eppure, la distanza tra Cartesio e le altre posizioni è tanto netta da rendere impossibile qualsiasi confusione.

Prendiamo in esame lo scetticismo antico, la dottrina che si fa risalire a Pirrone di Elide (nato nel 360 circa e morto nel 270 a.C.), e che si articola attraverso momenti di successiva radicalizzazione fino al II secolo d.C., con l’esperienza filosofica di Sesto Empirico, autore di un’opera intitolata nientemeno che Schizzi pirroniani (Πυῤῥώνειοι ὑποτυπώσεις), una sorta di manuale propedeutico in salsa scettica indirizzato a quanti si accostavano alla filosofia. Il fondamento della scèpsi di Pirrone è la cosiddetta acatalessia, ovvero l’impossibilità di conoscere la verità, che rimane al di là di qualsiasi strategia e strumento umano per coglierla, capirla, affermarla. Di fronte a questo stato di pensiero, lo scettico antico non può dare il suo assenso a una configurazione o a un’altra, perché entrambe hanno uguale forza, uguale capacità persuasiva. Da questo, e cioè dall’impossibilità di riconoscere un quid di verità in più a una tesi piuttosto che alla sua opposta, discende una condotta di pensiero che punta prima all’epoché (ἐποχή), ovvero alla sospensione di qualsiasi giudizio circa la verità di una proposizione, e poi all’afasia (ἀϕασία), l’astensione da ogni discorso, da ogni proferimento verbale; dire significa sempre af-fermare qualcosa, asserirlo, tenerlo per certo e ciò sarebbe contraddittorio rispetto alle premesse. Tra i vari nomi più o meno noti di questa corrente filosofica, uno ha avuto una certa fama legata però paradossalmente alla sua scarsa influenza nella storia del pensiero:

– Carneade! Chi era costui! – ruminava tra sè don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza al piano di sopra, con un libricciuolo aperto dinanzi, quando Perpetua entrò a portargli l’imbasciata. – Carneade! questo nome mi par bene di averlo inteso o letto; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui? – Tanto il pover uomo era lontano da prevedere che burrasca gli si addensasse in sul capo!

L’estremo punto di arrivo di questo itinerario scettico è il vagheggiato supremo ideale etico per l’uomo: l’atarassia (ἀταραξία). È un termine che Pirrone condivideva con Democrito, con gli Stoici, con gli Epicurei e che rimanda a quella condizione di pace assoluta derivata dalla liberazione dal gioco delle passioni e dall’indifferenza circa le cose del mondo.

È forse evidente che Cartesio ha poco da spartire con posizioni simili. Il dubbio dello scettico è, se non un passatempo, una precisa e immodificabile posizione nei confronti del mondo, una risposta aprioristica che non impegna e lascia immutate le cose, le posizioni. Lo scettico dubita per dubitare. Cartesio, invece, usa il dubbio come strumento per giungere a una verità ultima, incrollabile. Egli inaugura questo movimento (e, parimenti, la filosofia moderna) affrontando agonisticamente il medesimo rovello che coglie Sigismondo, nel dramma filosofico La vita è sogno, scritta dal suo contemporaneo Pedro Calderón de la Barca.

Io sogno che qui mi trovo

da questi ceppi fiaccato,

e ho sognato di vedermi

in più lieta condizione.

Cos’è la vita? Delirio.

Cos’è la vita? Illusione,

appena chimera ed ombra,

e il massimo bene è un nulla,

che tutta la vita è sogno,

e i sogni, sogni sono.

Cartesio afferma infatti di doversi liberare da tutto ciò a cui fino a quel momento aveva dato immediato assenso, e cioè le attestazioni dei sensi. Più volte infatti i sensi hanno ingannato e perché non potrebbero farlo sempre? Più ancora, non potrebbe la vita essere tutta solo un sogno, se è vero come l’esperienza attesta che nel sogno le sensazioni e le percezioni del sognatore sono le stesse provate da svegli?

Così, siccome i nostri sensi qualche volta ci ingannano, volli supporre che non vi fosse alcuna cosa tale quale essi ce la fanno immaginare. E poiché vi sono uomini che si sbagliano anche quando ragionano sulle più semplici questioni di geometria e commettono dei paralogismi, ritenendo io di essere soggetto come qualunque altro a sbagliare, rigettai come false tutte le ragioni che avevo accolto sino ad allora come dimostrazioni. E, infine, considerando che tutti gli stessi pensieri che abbiamo quando siamo svegli ci possono accompagnare anche durante il sonno, senza che ve ne sia nessuno che in quel momento sia vero, decisi di far finta che tutte le cose che mi erano sino ad allora venute alla mente non fossero più vere delle illusioni dei miei sogni.

Ecco il dubbio di Cartesio: radicale. Nella sua qualità metodologica esso mette alla prova la tenuta del sistema di riferimento fino alla sua più intima natura.

Il Discorso sul metodo e le Meditazioni metafisiche che seguono quattro anni dopo rappresentano un itinerario tanto arduo quanto affascinante, profondo, nervoso e irto di ostacoli, compiuto da una coscienza indomita e non pacificata, desiderosa di trovare un luogo sicuro su cui sostare, un puntello alle molte idee distorte e false che assillano l’animo umano, traviano la coscienza, sabotano i giudizi.

Mi accorsi però subito dopo che, mentre in tal modo volevo pensare che tutto fosse falso, occorreva necessariamente che io, che la pensavo così, fossi qualche cosa. E notando che questa verità Io penso, dunque io sono era così ferma e certa che tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici non erano in grado di scuoterla, ritenni che potevo accoglierla, senza scrupolo, come il primo principio della filosofia che cercavo.

Alle radici del pensiero moderno, Cartesio ancora brilla e non vacilla.

X
Torna in alto