Conrad alla finestra

Sull’inutilità delle citazioni

di Taddeo Tebaldi

Che cos’è una citazione? È un frammento del pensiero di un uomo più autorevole di colui che vi si appella. I romanzieri le usano per abbellire, legittimarsi o omaggiare; scienziati, accademici e divulgatori ne hanno bisogno per convalidare le proprie tesi; altrove servono a nobilitare un messaggio banale. Di rado sono rappresentative dell’autore e, soprattutto, non sempre nascono come aforismi. Se è vero che Oscar Wilde, oltre a essere stato un grande scrittore, saggista e provocatore, scriveva anche ottimi aforismi, in moltissimi casi le citazioni più note sono frammenti arbitrariamente sradicati dal contesto originario, a volte a danno dell’autore.

Per esempio, Ralph Waldo Emerson, padre del trascendentalismo, è noto per aver detto: «Odio le citazioni. Dimmi ciò che sai tu». Emerson, però, questa frase non l’ha twittata e la sua affermazione è in realtà una particella di un paragrafo («Immortalità. Ho notato che non appena uno scrittore si avvicina a questo tema, inizia subito a citare. Odio le citazioni. Dimmi ciò che sai tu»), che a sua volta chiudeva una lunga riflessione consegnata ai diari. Ora, bisogna chiedersi: l’estrapolazione di questa particella ha giovato alla diffusione del pensiero di Emerson nel suo insieme? Che diritto ha questa boutade di circolare autonomamente dal contesto, spacciando Emerson per un aforista? Tutto ciò ha un’importanza relativa, almeno fintanto che, se si controllano i diari di Emerson, nel maggio del 1849 ci si imbatte effettivamente in «Immortality. I notice that as soon as writers broach this question they begin to quote. I hate quotation. Tell me what you know». Quanto meno, sappiamo che quelle otto parole Emerson le ha scritte davvero, anche se nessun italiano vivente le ha mai lette nella loro collocazione originaria (il Diario di Emerson è stato pubblicato da noi per la prima e ultima volta nel 1963 da Neri Pozza). Il problema subentra quando la decontestualizzazione crea un autore implicito lontano da quello reale. Sarebbe contento Nietzsche di essere ricordato per slogan come «Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante», o «Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro»? O di scoprire che il suo oltre-uomo, un uomo che ha trasvalutato tutti i valori, è stato trasformato in un bellicoso superuomo (supereroe?) da una traduzione discutibile?

Citare diventa sconsigliabile quando la fonte non è stata verificata e/o c’è il rischio di una mistificazione. Uno dei casi più interessanti è italiano, nonostante riguardi l’autore anglo-polacco Joseph Conrad. Gira voce che Conrad abbia detto: «Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra io sto lavorando?». Si tratta di una battuta garbata e riuscita, ma: 1) predomina su qualsiasi altra attribuita all’autore; 2) non rappresenta la poetica dell’autore; 3) nessuno ha mai cercato di verificare se Conrad l’abbia scritta davvero, né dove. Tutto ha avuto inizio con la pubblicazione dell’autobiografia del regista Dino Risi (I miei mostri, Mondadori, 2008) che contiene la citazione due volte, senza fonti. Sul web è impossibile trovare occorrenze precedenti (fanno fede soltanto gli articoli, perché diverse pagine web predatate l’hanno aggiunta alla testata soltanto in seguito). Il 3 settembre 2009 lo psicologo Andrea Bocconi la riprende sull’Unità (in un pezzo che non c’entra con Conrad né con Risi). Nel 2011, nel suo libro Dai diamanti non nasce niente, Serena Dandini sostiene che era la preferita di Risi, il quale, in effetti, l’aveva usata anche il 25 ottobre 2007 per concludere un’intervista a Le iene, e chissà quante altre volte in precedenza. L’11 maggio 2012 la blogger italo-tedesca Nina Rothe twitta: «Writer’s syndrome by Joseph Conrad: ‘How do I explain to my wife that when I look out the window I’m working?’», fornendo ai fact-checker più indolenti la prima fonte in inglese. E guarda caso, il 19 settembre 2013, sul sito ShahrazadArt, la citazione appare affiancata dalla presunta versione originale (identica a quella di Rothe, non è un dettaglio da poco, considerata l’abbondanza di varianti italiane). Il 13 ottobre 2013 la frase appare sul sito italiano bilingue WOW! Ways of Working, e stavolta a ricordarla è il sociologo Domenico De Masi. Il 21 ottobre 2017 la troviamo sulla pagina Facebook di RAI-Radio2 e il 9 novembre 2018 sulla pagina twitter di RAI Cultura (stesso web content manager?), e così via. Ci fermiamo qui, perché non serve riportare le centinaia di occorrenze gratuite sparse su siti a bassa visibilità. È però interessante rilevare che la citazione è stata presente anche su Wikiquote ma poi rimossa, grazie all’infaticabile rigore filologico dei wikipediani. Tutto ciò non dimostra che Conrad non abbia mai scritto la frase incriminata, ma soltanto che nessuno ha scoperto la fonte, e che pertanto la frase gode attualmente di uno status di menzogna.

Un destino simile è capitato a «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire», diventata l’affermazione più celebre di Voltaire, nonostante Voltaire non l’abbia mai scritta. L’aggravante è che questa pseudo-Voltaire è infinitamente più diffusa della pseudo-Conrad, il che l’ha resa insradicabile dall’immaginario culturale medio per i secoli a venire. Il suo percorso di affermazione meriterebbe comunque un articolo a parte.

Un caso dotato di anticorpi riguarda Charles Darwin, il quale, a proposito delle origini dei cetacei, scrisse:

Non vedrei nessuna difficoltà che una razza di orsi per effetto della selezione naturale potesse diventare sempre più acquatica per struttura ed abitudini, con la bocca sempre più larga, fino a dar luogo ad un essere mostruoso come la balena.

Delle decine di citazioni sul web, nessuna fa riferimento al fatto che la frase si trovava soltanto nella prima edizione de L’origine delle specie (On The Origin of Species) del 1859, e che già a partire dalla seconda edizione Darwin l’aveva rimossa, né la reintegrò nelle edizioni apparse finché era in vita. La frase è stata in seguito ripristinata in diverse edizioni inglesi, e di conseguenza in quelle italiane. Ma non c’è un cortocircuito nel corroborare una tesi appellandosi a un’affermazione rinnegata dal suo stesso autore (a prescindere dal fatto che, in seguito, si riveli fondata)? E ancora, per rimanere nel regno animale, non c’è testo che parli del polpo senza premettere che Linneo lo definì un “singulare monstrum”, cosa non vera. L’inghippo ha avuto inizio nel 1968 con la pubblicazione di The Kraken & The Colossal Octopus, nel quale lo zoologo belga Bernard Heuvelmans spiegava che nel Systema Naturae, per descrivere un animale mai visto personalmente, Linneo riportava gli appellativi di altri studiosi, tra cui “singulare monstrum”, dato da tale Paulino nella fantomatica Decade delle Effemeridi de’ Curiosi della Natura, se non fosse che di quest’opera non c’è traccia, e se ne fa menzione soltanto nei Nuovi annali delle scienze naturali del 1843. Un mistero ancora tutto da svelare.

Altra tipologia, più complessa e sciatta, è quella delle false attribuzioni, come la Storia di due che sognarono che Borges inserisce nel suo Libro di sogni (Libro de sueños, 1976), mischiandola a materiali propri o fittizi, e che è il 351esimo racconto de Le mille e una notte, e che chiunque continua a considerare scritta dal pugno dell’argentino. Oppure può essere divertente seguire gli sviluppi di un’altra mistificazione, secondo la quale Lovecraft avrebbe detto:

La razza umana scomparirà. Altre razze appariranno e si estingueranno a loro volta. Il cielo diventerà gelido e vuoto, attraversato dalla debole luce di stelle morenti. Che a loro volta scompariranno. Tutto scomparirà. E ciò che fanno le persone non ha più senso del moto casuale delle particelle elementari.

Il passaggio, molto suggestivo, apre la voce “Cosmicismo” su Wikipedia, e la nota relativa recita «Citato in Michel Houellebecq, H. P. Lovecraft, Contro il Mondo, Contro la Vita (1999)», anche se basta leggere il saggetto del romanziere francese per scoprire che quelle parole sono sue e non del grande autore americano. Il solito telefono senza fili. Che qualcuno lo dica ai wikipediani.

Per tornare al caso di Conrad, come già detto non è stato ancora dimostrato che la citazione incriminata non sia sua. Da qualche parte Risi l’avrà pur pescata. Una ricerca sui testi principali in inglese non dà risultati, ma magari si trova in qualche diario o epistolario inedito. Si spera che qualche volenteroso sveli l’arcano. Resta il fatto che è meglio citare soltanto ciò che si è appreso dalla fonte originale, e magari conservare quella fonte, così come adesso, al lettore di quest’articolo, conviene ritagliarlo e conservarlo, allo scopo di poter dimostrare, in un futuro non lontano, che quella ormai nota affermazione di Conrad, secondo la quale «È difficile spiegare a una moglie che la razza umana scomparirà a causa di un singulare monstrum», è ed è sempre stata un falso, un malinteso, un pastiche derivato proprio da un articolo che mirava a dimostrare l’inutilità delle citazioni.

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