
Mrs. Bates, I suppose!
di Antonio Pettierre
Psycho (1960) di Alfred Hitchcock è un film che innova il thriller e possiamo affermare che si tratta del primo horror ad avere elementi di modernità in temi approfonditi nei decenni successivi. La figura di Norman Bates, psicopatico serial killer, è oggetto di rappresentazione psicoanalitica agente in spazi – il motel e la casa sulla collina – ancorati a un passato dell’horror classico e alla produzione cormaniana dell’epoca. Psycho è un film-crocevia, dove il passato e il futuro s’incontrano, punto di arrivo e di ri-partenza di un certo modo di (dis)fare cinema. La pressoché vasta bibliografia critica sul maestro inglese ha sviscerato tutti gli aspetti possibili – contenutistici, estetici e produttivi – di una tra le più importanti pellicole della sua filmografia.
Resta la figura materna in Psycho ancora con margini di analisi. La struttura lineare del climax si fonda su Norma, così come i nessi causa-effetto delle azioni e della psicologia del figlio Norman. Ma se quest’ultimo è il personaggio-protagonista a scartamento in avanti (apparendo improvvisamente sotto la pioggia dopo un terzo del film, con l’arrivo di Marion al Bates Motel), la madre è un personaggio non secondario: la sua peculiarità, molto moderna, è essere sia in praesentia sia in absentia.
Già l’onomastica preannuncia la sua presenza nascosta: il nome di Norma è incapsulato in Norman, così come la personalità della madre è incistata come un parassita nella mente del figlio. O, da un altro punto di vista, si può pensare che il figlio sia un’appendice materna. E non è del tutto falsa l’affermazione se fisicamente è la madre che procrea dal proprio ventre il corpo figliare. Anche se in questo caso, oltre a visualizzare la partenogenesi della carne, Psycho mette in scena la transustanziazione dell’anima femminile nell’animus maschile così da realizzare una creatura ibrida, un ermafrodito in cui il femminino e il mascolino convivono, ma non si fondono completamente (se non nell’inquadratura del prefinale, girata nella prigione).
Rifacendoci alla lezione di Vitiello,1 il substrato mitopoietico spiega molto bene la conflittualità tra le personalità di Norma e Norman che vivono nello stesso corpo. Quando Cupido, figlio di Venere, s’innamora di Psiche, la dea scatenerà la propria violenza per impedire il tradimento filiale per un’altra figura femminile che non sia quella materna. Si va oltre, e al di là, del complesso edipico. Nell’istante in cui Norman-Cupido desidera Marion-Psiche, si risveglia l’ira di Norma-Venere per il possibile tradimento del figlio. Questo la porta a manifestarsi per l’eliminazione fisica dell’avversaria (nella famosa scena della doccia).
Pur essendo, quindi, de facto assente dalla scena, Norma è presente tramite fattori profilmici. Quando appare sullo schermo vediamo una figura allampanata seminascosta dall’ombra. Lo sguardo dello spettatore è dirottato da dettagli – il coltello brandito nella scena della doccia, una parrucca, un vestito lungo e sformato – oppure da inquadrature in plongée in scene particolari (quando Norman trasporta il corpo della madre invalida sul pianerottolo delle scale di casa). Inoltre, si sente la voce over della donna che redarguisce il figlio e si lamenta. Hitchcock inserisce nella forma filmica tanti indizi disseminati lungo la visione che, ricomposti, creano il puzzle materico di Norma. Ma la presenza della donna è racchiusa nella mente dello spettatore che raggruppa le diverse parti che la compongono.
All’apparizione nel finale del corpo materno mummificato, lo shock è ancora più forte per chi guarda dopo un lavoro di ricomposizione individuale dell’immagine. Del resto, la pulsione scopica di Norman scatena la rabbia di Norma, mentre osserva da un buco della parete nel suo ufficio la stanza a fianco dove si sta spogliando Marion. Una sorta di obiettivo, così come la macchina da presa crea a sua volta emozioni che fuoriescono dallo schermo. L’allineamento dello sguardo di desiderio tra Norman e lo spettatore provoca la trasmigrazione di Norma dallo schermo bidimensionale di luci e ombre in quello tridimensionale dell’immaginario personale.
Norma, da quel momento in poi, non è solo in Norman, ma sarà presente nel subconscio di chi sta guardando Psycho così che la sua assenza-presenza è una fusione tra il soggetto attivo e l’oggetto passivo della visione.
Hitchcock utilizza diverse controfigure per Norma. Margo Epper, una giovane stunt, per la scena della doccia e Anna Dore per tutte quelle in cui ci deve essere il contatto fisico. Invece il regista si avvale di Mitzi, una stunt affetta da nanismo che lavora in un circo, per le inquadrature dall’alto sulle scale. Anche la voce di Norma è composita. Paul Jasmin, fotografo di moda e pittore, all’epoca delle riprese è utilizzato dal regista inglese per la voce di scena del personaggio. Mentre la voce fuori campo è prestata dall’attrice Virginia Gregg con il contributo di un’altra interprete, Jeanette Nolan.
Norma è una figura materna una e trina nella sua composizione per lo schermo. La frammentazione del soffio vitale al personaggio crea i presupposti della sua presenza-assenza fin dall’inizio. E l’inganno è voluto e orchestrato da Alfred Hitchcock fin dall’ideazione di Psycho.
Hitchcock diede alla stampa l’annuncio che le candidate più probabili al ruolo della madre erano Judith Anderson e Helen Hayes. Questo scatenò un diluvio di lettere e telegrammi da attrici veterane e dai loro agenti, nella speranza di ottenere il ruolo.
Persino una delle attrici che lavorò con lui in Delitto per Delitto (Strangers on a Train, 1951), Norma Varden, gli telegrafa personalmente per sapere se c’è la possibilità di avere la parte. Hitchcock declina con il suo solito freddo umorismo.
La presenza-assenza di Norma ha vita al di fuori dello schermo, esistendo solo nell’aspirazione di chi vuole interpretarla. Così come il desiderio porta lo spettatore a vedere il film e Norman a possedere Marion. Norma, il suo cadavere mummificato nel finale, è la rappresentazione del potere finzionale della macchina cinema e nell’essere creatrice e distruttrice dell’immaginario collettivo. Il Cinema è Venere, donna e madre. Il Cinema è Norma e gli spettatori sono Norman o Marion.