
App-ocalypse Now
di Davide De Lucca
Palo Alto. Cazzo. Sono ancora soltanto a Palo Alto. Siedo in un bar specializzato in frullati depurativi e aspetto la mia prossima missione. Il portatile aperto sopra il tavolo, negli auricolari bianchi “The End”; tengo vicini lo smartphone, il tablet e un beverone all’ortica e iperico. Ricevo una chiamata su Skype. Sono loro, sono pronti a vedermi.
Esco in strada: mi piace l’odore del silicio al mattino. Tre uomini mi accolgono nel loro ufficio. Scambiamo alcuni convenevoli. Mi conoscono, sanno come lavoro.
“L’ingegner Kurtz,” comincia quello più anziano, che sembra comandare, “sta sviluppando delle tecnologie poco ortodosse. È sempre stato un visionario, un genio. Lo abbiamo ingaggiato per lo sviluppo di una app. Per farlo si è ritirato in un luogo semi-deserto, sulla strada che porta a Fresno, ma lì” breve pausa e sospiro, “ha perso il controllo.”
“In che senso?” chiedo. I tre si scambiano un’occhiata, in silenzio.
“Kurtz ha fondato una sua azienda e sviluppato un proprio sistema operativo senza il nostro permesso. È un SO immune da virus, estremamente stabile e facile da usare. Non possiamo permetterci una cosa del genere. Il suo compito”, scandisce lentamente l’uomo, “è trovare l’ingegner Kurtz e terminarlo.”
“Terminarlo?” domando. Mi osservano in silenzio e annuiscono.
Me ne vado con un dossier riservato nella chiavetta usb. Ci sposteremo in auto. Mi accompagneranno un ex chef, Jay, che ora fa l’autista e conosce la strada, e Charlie, un giovane tirocinante alla sua prima esperienza, poco più che un ragazzino. Sarà un lungo viaggio. Mi siedo sul retro e leggo il file.
MIT, master a Berkely, qualche anno a Singapore e poi la Silicon Valley: l’ingegner Kurtz era un uomo di talento. Aveva sviluppato il suo primo software nel proprio garage con un amico per vendicarsi di qualcuno; poi aveva fregato il suo amico e aveva fondato da giovanissimo una start-up. Era fallito e aveva ricominciato. Aveva creato un incubatore per imprenditori e nel frattempo collaborato con le persone che mi avevano assunto. Un uomo disonesto, ma competente; feste, donne e droghe: una condotta irreprensibile per un nuovo ricco. Per quale motivo, allora, un atto di ribellione del genere?
La strada che porta verso Fresno è pericolosa e piena di seccature – chiese e sette di vario tipo, attori falliti, prostitute, autori televisivi in cerca di ispirazione e droghe, rockstar che hanno comprato una fattoria per coltivare marijuana terapeutica.
Facciamo una sosta in un diner. I miei compagni ordinano uno spuntino semplice: un pancake multistrato grande come una pizza e un secchio di Coca-Cola. Io cerco di bere un caffè. Una corriera si ferma nel piazzale. Ne scende un gruppo di ragazze in bikini e short, spring-breaker dirette verso la costa. Essendo tre geek, siamo terrorizzati e affascinati fino allo stordimento. Una di loro si avvicina e ci chiede quali sono le migliori spiagge per surfisti nella zona. Nessuno di noi fa surf, tanto meno Charlie che, sudando, cerca rapidamente una risposta su Google. Ma lei si spazientisce e se ne va in cerca di metanfetamina. Lui si alza per rincorrerla. Tentiamo di fermarlo, ma è troppo tardi. Non lo ritroviamo.
Un silenzio irreale, di deserto e polvere, protegge la nuova azienda di Kurtz. Gli head-hunter hanno letteralmente piantato su dei pali le teste delle promesse che non si sono rivelate tali. Un edificio bianco di design, circondato da un giardino verde e ben curato che ospita un’insegna minimalista. Un esercito di stagisti, i suoi seguaci, ci osserva circospetto. Chiaramente venerano Kurtz come un dio. Chiedo a Jay di aspettare in macchina ed entro da solo. Alla reception vengo accolto freddamente dalla segretaria. “Kurtz sapeva che sarebbe arrivato.” Mi consegna un badge e la seguo lungo i corridoi fino a raggiungere una porta. “Quest’uomo è unico”, sussurra guardandomi negli occhi. Poi mi lascia solo. Entro in una stanza bianca e ovale.
Sembra non ci sia nessuno, ma poi lo vedo. È vestito completamente di bianco, si confonde con l’ambiente, tranne per gli occhiali tondi con la montatura scura. Kurtz è alto, robusto, senza capelli. La sua presenza emana qualcosa di folle e affascinante. Restiamo in silenzio. Sta mangiando lentamente due gambi di sedano e dei piselli camminando su un tapis-roulant. Scende e comincia a parlare, con voce suadente. Mi illustra le sue teorie e le sue scoperte. Mi intriga, non posso negarlo, anche se a volte è incoerente. “Ho visto degli orrori che ha visto anche lei”, dice. “Obsolescenza programmata, software incompatibili, bacati, telefoni sempre più piccoli e poi sempre più grandi. E per cosa poi? Giocare meglio a Candy Crash Saga e vedere YouPorn. Ecco a cosa serve la tecnologia.”
Lo ascolto in silenzio. C’è una luce insana nei suoi occhi. Devo concentrarmi: sono lì per un motivo.
“E non dimentichiamo” continua “quelli che vogliono fare invidia su Facebook agli altri poveri stronzi postando foto dei loro piedi.” Come dargli torto? “Democratizzare, rendere qualcosa accessibile a tutti, è anche avvilirlo e sporcarlo.”
Chiedo di andare in bagno. Mi fa scortare da uno dei suoi stagisti. Lo immaginavo. “Vorrei sapere dov’è la macchinetta del caffè”, dico. Lo stagista mi indica la strada, ma non mi segue: lì bevono soltanto tisane alle erbe e il solo odore del caffè lo nauseerebbe. Mi libero di lui facilmente e raggiungo il server centrale. È lì che si trova la creatura di Kurtz, il suo sistema operativo.
Mi siedo alla scrivania. Muovo il mouse e lo provo: è perfetto, geniale. Un po’ mi piange il cuore, ma avvio la procedura di disinstallazione. Avverto la sua presenza alle mie spalle. Non sembra sorpreso. Anzi, se lo aspettava. “Ho cancellato tutto, Kurtz”, dico, “e ho installato una vecchia versione di Windows Vista. Mi dispiace”.
Kurtz spalanca impercettibilmente gli occhi. “Vista? The horror” mormora.
The horror.