Fiammelle, bambini ed Europa

Un confronto tra El Soplón di El Greco e Ludwig di Diego Marcon

di Laura Cuzzubbo

Due bambini, a distanza di circa quattro secoli e mezzo, appaiono avvolti in una densa oscurità cui fa eccezione il tenue barlume che illumina i loro volti e le loro mani.

In un quadro di genere del terzultimo decennio del Cinquecento, eseguito dal pittore Domenikos Theotokopoulos, detto “El Greco”, pennellate rapidamente accostate, ben visibili da vicino, delineano, a una visione a distanza, la fisionomia di un ragazzo intento ad accendere una candela, che tiene in una mano, tramite un tizzone ardente. Come per incanto, grazie al leggero soffio che giunge dalle labbra arricciate del bambino, la brace genera la combustione dello stoppino e il prodromo della fiammella produce, a sua volta, un bagliore che illumina viso, palmo destro, farsetto e camicia del giovane.

El Greco, pellegrino attraverso il Mediterraneo, è da poco giunto a Roma ed è entrato sotto la protezione del cardinal Alessandro Farnese, dietro sollecitazione scritta di Giulio Clovio, apprezzato miniaturista croato al servizio della nobile famiglia rinascimentale. L’artista cretese in Italia desidera emergere nella ritrattistica, una nicchia del mercato in cui al tempo la concorrenza è spietata, e la tela in questione, El Soplón o Ragazzo che accende una candela (1570-75 ca.), oggi al Museo di Capodimonte e di cui esistono numerose repliche e copie, è un saggio con cui esibire la propria abilità. Nondimeno, protagonista, o coprotagonista, del dipinto è la luce, traballante e mutevole, che lascia scorgere l’espressione vigile e concentrata del piccolo Prometeo. In quei decenni, in Europa è in atto la rivoluzione scientifica e il mondo della magia sta transitando verso la mentalità sperimentale; l’uomo vuol leggere il “libro della natura” e giungere a dominarne le forze e piegarle a proprio vantaggio. Ed El Greco sembra fermare, nel prodigioso avvenimento della creazione del fuoco, e dunque della luce, l’istante della collisione fra scienza e magia, compendiando, nel volto concentrato del ragazzo, la “natural curiosità” di colui che, come il ricercatore dell’origine dei suoni della celebre Favola dei suoni (1623) di Galileo Galilei, si rivela appassionato e sempre sorpreso dalla ricchezza inesauribile della natura.

El Greco ha dunque superato il contesto della ritrattistica di genere, facendo del suo Soplón quasi un’allegoria. Ha inoltre reso moderna, non fermandosi a un semplice studio di gusto antiquario, un’ἔκϕρασις, ekphrasis, di Antifilo (pittore greco del IV sec. a.C.), riportata nella Naturalis Historia (77-78 d.C.) di Plinio il Vecchio, che nella stessa opera cita diversi scultori e pittori che hanno riprodotto un giovane che soffia sul fuoco. Già uno dei modelli dell’artista cretese, Jacopo Bassano, ha affrontato il tema inserendolo come episodio marginale in contesti narrativi più ampi, come l’Adorazione dei pastori (1562 ca.) della Galleria Corsini di Roma o Il miracolo delle quaglie (1567 ca.) già in collezione privata a Verona. El Greco va oltre: isola una singola figura, creando un effetto di avvicinamento allo spettatore per mezzo della luce e del sottinsù, a voler trasmettere la convinzione, comune a Bacone, Galilei e Newton, che il reale va indagato empiricamente, mediante l’osservazione sistematica e l’esperimento, e che, infine, grazie ai risultati di questa esplorazione, sarà possibile intervenire sulla natura per produrre gli effetti voluti. Il Seicento si avvicina e la moda per la pittura a lume di candela sta per esplodere: anzi, lo stesso Jacopo Bassano, qualche anno dopo, ripropone il tema del ragazzo che soffia su un tizzone nella Fucina di Vulcano di Montecarlo, opera a più figure, in cui l’interesse per i lampi di luce si estende a tutto il dipinto.

A giochi luministici simili a quelli del Soplón è sottoposto il nostro secondo bambino, plausibilmente un settenne, per certi aspetti antitetico fratello minore del diligente sperimentatore pirico di El Greco. Si chiama Ludwig ed è stato creato in CGI (computer-generated imagery) dall’artista di Busto Arsizio Diego Marcon, vincitore, con questa videoinstallazione, del MAXXI BVLGARI PRIZE nel 2018. Seduto su una cassa, durante una tempesta, nella stiva di una nave, tra dondolii, cigolii e fulmini, Ludwig regge in mano un fiammifero acceso, che rischiara il suo viso rotondo, e intona un lamentoso Lied, accompagnato da un pianoforte. Lo sfondo è quello di un notturno manierista, anzi sembra proprio di rivedere il Soplón in abiti contemporanei, mentre l’aria, scritta dallo stesso Marcon, composta da Federico Chiari e interpretata da un bambino del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala, recita «Dio, come son stanco, mi sento proprio giù/ Vorrei tirar le cuoia e non pensarci più». Proprio nell’attimo in cui la voce si solleva in un ottimista «Eppur», il canto si interrompe con un «Ahi», mentre il pianoforte avanza: Ludwig si scotta le dita, lo zolfanello, consumato, si spegne, lasciando che le tenebre inghiottano il piccolo. Ancora buio pesto e note incalzanti di pianoforte fino a che, dopo alcuni tentativi sottolineati da rapidi flash (fulmini e scintille), un nuovo fiammifero viene acceso e l’intonazione del cupo motivo riprende, in uno studiato e perfetto loop in cui ancora una volta il cerino si consuma, fino a scottare le dita del fanciullo, si spegne e infine viene riacceso.

Come un eroe romantico, Ludwig aspira alla morte, seppur nessuna violenza diretta e nessuna aperta provocazione siano indirizzate al pubblico. Tuttavia, il dramma, la sofferenza della sua condizione sono palesi: il viso roseo è solcato da borse sotto gli occhi, rimarcate dal bagliore della piccola fiamma tra le dita, le sue parole proclamano un tetro stato malinconico di accidia e spossatezza; il buio, un fiammifero e un bambino sono anche gli ingredienti di una delle più strazianti fiabe di Hans Christian Andersen, La piccola fiammiferaia (1845), senza tuttavia le vivide allucinazioni della bimba. Lo stesso spettatore, quando Ludwig sparisce e lo schermo appare totalmente nero, subisce un lutto, un sentimento freudiano di “melanconia” per la perdita di un oggetto, contrastato da repentini lampi di luce che conducono alla nuova apparizione. Non solo: Marcon fa indossare al suo protagonista un maglioncino blu e una polo gialla, i colori dell’Europa, come a presagirne, nell’imminente naufragio della nave di Ludwig, il fallimento.
Ma quella di Marcon è una malinconia pervasa da un’accezione tragicomica. La parafrasi eufemistica e quasi scherzosa “tirar le cuoia”, distante dal gergo fanciullesco, e la voce melodiosa che la intona non fanno che mostrarci un Urlo di Munch edulcorato, non privo di ironia, specie nell’urletto sguaiato che interrompe il canto; nel procedere del loop, Ludwig non riesce ad allontanarsi dalla sua condizione, si svuota anzi di eroismo, colmandosi di nichilismo e assumendo la posizione del soccombente (per citare Thomas Bernhard).

Pertanto il parallelismo con il Ragazzo che accende una candela di El Greco non è confinato solamente al ricordo di quegli effetti luministici che coinvolgono lo spettatore nella scena, che sia del dipinto o della video-animazione: Ludwig, come il Soplón, è spia della condizione umana, esistenziale e collettiva. Entrambe le opere si aprono infatti a uno scenario psicologico, di entusiasmo e stupore nell’una, di spossatezza romantica e lirico ripiegamento nell’altra, cui fanno da contrappunto momenti storici diversi, di apertura verso la scoperta e libertà di pensiero, da un lato, di stanchezza e disincanto, dall’altro. Sarà Ludwig il capostipite di un’Europa soccombente o il Soplón l’antenato di un’Europa fiduciosa nell’avvenire? Di quale fiamma brucerà il vecchio continente?

Immagine: Diego Marcon, “Ludwig”, 2018 – Video, animazione CGI, colore, suono, loop – Still da video
Courtesy l’artista ed Ermes-Ermes, Vienna

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