Visioni e tentazioni

Vita, morte e miracoli della notte medievale

di Laura Cuzzubbo

Non importa quanto le scienze progrediscano rapidamente, […] non ci libereremo mai dalla paura del buio, che anzi forse non fa che aumentare, perché l’uomo contemporaneo […] non conosce più il buio, è stato annientato con l’illuminazione superflua

Jón Kalman Stefánsson, Luce d’estate ed è subito notte

L’uomo medievale ama la luce. Dio è luce ed è divino ciò che emana luce, la quale entra perciò a fiotti nelle cattedrali gotiche. Il medioevo apprezza quindi le tinte vivaci e l’oro, in arredi sacri, monili e pale d’altare. A differenza del mondo attuale che predilige il pacifico blu, il colore eletto del medioevo è il rosso, colore del lusso, indossato dai ricchi e, fino al XIX secolo, dalle spose contadine. E ancora, la Regola di San Benedetto impone ai monaci che il dormitorio sia illuminato fino all’alba. Anche la letteratura esprime ammirazione per la luce, tanto che, nella Chanson de Roland, le armature, dei paladini come del nemico, spesso luccicano; parimenti, il motivo ricorrente del locus amoenus è scandito dalla presenza di acque chiare e aria fresca. Per contro, l’oscurità è sovente sinonimo di smarrimento, spirituale e non: Dante si perde in una “selva oscura”, rappresentazione del vizio, e Pietro e l’Agnolella, nella terza novella della V giornata del Decameron, durante la loro fuga d’amore, si salvano dai pericoli di una fitta foresta solo al sorgere del sole.

La notte dunque, con le sue tenebre, è l’antitesi dell’ideale luminoso a cui aspirano gli uomini del medioevo i quali si adoperano per domare il buio, seppur con pochi e modesti mezzi, come torce quando ci si appresta a viaggiare nottetempo, lampade a olio o sevo in abitazioni e chiese, vetri alle finestre.

Ma che necessità ha l’uomo medievale di rischiarare le sue notti se, come per noi oggi, anche nei secoli dal V al XV, esse sono consacrate essenzialmente al sonno e al riposo? Ebbene, dai documenti emerge una dimensione notturna brulicante di attività e, soprattutto, di insidie: una vera e propria “orrida” notte.

Si dorme, certo, a volte si soffre di insonnia, per cui si applicano rimedi quali oppio e solanacee. Se sulla carta è vietato lavorare dopo il coprifuoco, a causa degli errori cui si potrebbe incorrere nella penombra, di fatto molti si trattengono nelle botteghe fino a notte fonda. Tra le occupazioni notturne si collocano anche gli svaghi: falò, feste, veglie tra donne.

Eppure le notti medievali trascorrono anche inquiete. Nelle città universitarie, gli studenti mettono a dura prova il sonno dei borghesi con feste e schiamazzi, ma anche staccando le insegne delle taverne come nella Parigi del XV secolo. Dalle baldorie notturne al delitto il passo è breve. Si narra, ad esempio, che nel dicembre del 1471 cinque giovani cenano in una taverna di rue de la Juiverie a Parigi. Verso le nove lasciano il locale e si recano all’albergo della grossa Margot dove sono ammesse le donne di piacere; qui incontrano un certo Noël con cui scambiano qualche parola prima di allontanarsi. Poco dopo esplodono urla e in breve si scatena una rissa: Noël muore dopo tre settimane per le ferite riportate. Di un violento tafferuglio narrano anche le lettere di condono per l’omicidio di un prete, Philippe Sermoise, ottenute nel 1456 da François Villon, non a caso ritenuto da alcuni il primo poète maudit. Nella sera del Corpus Domini del 5 giugno 1455 Philippe si rivolge a François prima con parole offensive e di lì a poco con la daga, ferendolo al labbro. Villon arretra ma, inseguito dal prete, estrae la sua daga e lo uccide. Per cogliere le ragioni di tale violenza occorre evidenziare l’importanza del consumo di vino (tra i 148 e i 178 litri all’anno a Tours nel XV secolo), per cui molti delitti si verificano dopo il tramonto all’uscita dalle taverne. All’ebbrezza si sommano poi l’abitudine di portare armi e l’attitudine all’ira.

Cos’altro accade nelle notti medievali di così tremendo? Da sempre l’oscurità favorisce gli oppositori politici, che nel buio si riuniscono e tentano di rovesciare il potere ufficiale, e i ladri.

La notte fa da sfondo all’amore: coniugale certo (l’unione carnale tra gli sposi deve ridursi a un blitz coit), ma anche lussurioso, mercenario, imposto, immorale. Così in una notte del 1415, di rientro da una ronda, il sindaco di Chauny uccide un giovane seminudo intravisto in un vicolo vicino casa: la moglie, dinanzi al talamo vuoto, è caduta nella tentazione di incontrare un amante. Il meretricio, si sa, si esercita per lo più di notte, specie nelle locande gestite da tenutarie come la grossa Margot di Villon. Talvolta le pulsioni sessuali vengono soddisfatte con la violenza in autentici stupri collettivi. È quanto avviene a Digione ad opera di un delinquente, un certo Sancenot Bauchet, che tra il 1445 e il 1447, con alcuni compagni, di notte, sfonda le porte delle case e fa violenza a donne e fanciulle che vi abitano. A chiusura di questa rassegna di amplessi notturni, rievochiamo quanto narra Boccaccio nella sesta novella della IX giornata. Due amici, Pinuccio e Adriano, albergano presso un uomo che ha una moglie, una figlia giovinetta e un figlio di pochi mesi, nell’unica stanza della casa dotata di tre letti e una culla. Come in una commedia degli equivoci, complici l’oscurità e lo spazio esiguo, la figlia si unisce al suo spasimante Pinuccio entrato di soppiatto nel suo letto, mentre poco dopo la moglie giace per errore con Adriano, il tutto all’insaputa dell’ospite. Verosimilmente la promiscuità notturna nel medioevo favoriva incontri di tal fatta.

L’immaginario medievale è poi molto alimentato dalla notte. Nel 906 Reginone di Prüm parla di una credenza popolare secondo cui donne scellerate, agli ordini di Diana, la dea pagana, cavalcano animali volando nel cielo notturno. Nel XV secolo tali viaggiatrici confluiscono nelle streghe che di notte si radunano nei sabba per rendere omaggio a satana e unirsi carnalmente con lui. Una superstizione fa sì che le eclissi di luna siano accompagnate da rituali chiassate, con cui i contadini credono di soccorrere la luna che si oscura. Infine, dall’XI secolo gli ecclesiastici riferiscono dell’apparizione della maisnie Hellequin, un’orribile armata di morti che sconta i peccati in cavalcate notturne.

Uomini e donne dell’età di mezzo possiedono poi una vita onirica tanto quanto quelli del terzo millennio. Ma là dove il nostro spirito razionale lega il sogno ai processi dell’inconscio, il medioevo cristiano vi coglie un’origine divina. E precisamente si dibatte tra sogni veritieri e preziosi, inviati al dormiente per predirgli il futuro (come sostiene Ildegarda di Bingen), e sogni menzogneri, finalizzati a sviarlo, veri e propri stratagemmi del demonio. Specie nell’alto medioevo, alcuni autori riconoscono nelle visioni notturne anche cause fisiologiche (l’eccesso di cibo), e molti invitano alla diffidenza: i sogni sono vanità che allontanano dalla fede e dalla salvezza eterna. La Chiesa condanna l’oniromanzia: Isidoro di Siviglia incita i fedeli alla prudenza, in quanto satana tenta l’uomo con visioni illusorie, e per Gregorio Magno solo i santi sanno riconoscere le rivelazioni divine. Insomma, quella cristiana dei primi secoli è una società di “sognatori frustrati”. Ma con il XII secolo si afferma una democratizzazione del sogno: il diavolo arretra a vantaggio di Dio e si accentua la distinzione tra il sogno neutro (somnium) associato alla psicologia (pertanto chiunque ha diritto al sogno) e la visione divina (visio) che rivela il sacro.

Il trascendente ci scorta così al termine di questo viaggio nella notte del medioevo. Notte temuta, ma anche addomesticata, eppure sublimata. L’uomo medievale è convinto che in sogno Dio riveli il futuro, seppure a una cerchia ristretta di privilegiati (re, papi, santi). Alcuni mistici credono poi che l’anima possa fare esperienza di Dio solo nell’invisibilità delle tenebre. La presenza notturna di Dio nell’età di mezzo è anche cosciente e volontaria: di notte le donne si alzano per pregare e le chiese sono aperte (malgrado i divieti imposti per evitare disordini) per le grandi vigilie e per gli infermi che chiedono la guarigione.

Notte multiforme dunque, che spaventa ma eleva. Come vive invece la notte il moderno e progredito Occidente? Lo strapotere tecnologico sull’oscurità concede ancora la facoltà di sublimazione del buio?

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